alcune citazioni dal libro "ndrangheta" del 2008-2011
Forse oggi la ’ndrangheta rappresenta la prima vera mafia globale. Ha una caratteristica che le altre mafie italiane non hanno, neanche Cosa nostra siciliana: ovunque arrivino, in Italia e nel mondo, gli uomini delle ’ndrine non insediano soltanto le loro attività illecite e i loro affari «legali», ma riproducono identità, valori, modelli antropologicoculturali, vere e proprie forme di comunità.
E questo vale per la Germania di Duisburg, dove la notte della strage, davanti ad una statua di San Michele Arcangelo, si realizzava il rito dell’affiliazione di uno dei ragazzi uccisi, ma vale anche per Buccinasco o Trezzano sul Naviglio, Reggio Emilia o Bordighera, Paderno Dugnano o Aosta, Toronto, Melbourne o Sidney.
Solo gli sciocchi possono relegare i rituali, l’appropriazione del simbolismo religioso o la riproposizione di forme chiuse di vita comunitaria, nella sfera del folklore o della sopravvivenza di preesistenze culturali arcaiche.
Si tratta piuttosto di meccanismi identitari che da un lato rigenerano il senso di appartenenza e di omertà e dall’altro definiscono una fisionomia e un modello criminale riconoscibile e «autonomo», in qualunque parte del mondo, per il suo cordone ombelicale con la terra di origine e i luoghi depositari della propria legittimazione organizzativa e criminale: ’ndrangheta, appunto.
Dall’industrializzazione mancata degli anni settanta fino al degrado politico e morale che investe la politica e le istituzioni regionali, la ’ndrangheta ha sempre rappresentato il convitato di pietra di tutte le stagioni politiche e ha condizionato il rapporto tra le classi dirigenti calabresi e quelle nazionali, legate in un patto di scambio tra la gestione delle risorse pubbliche e il consenso politico ed elettorale. Basta rileggere la storia politica e sociale della regione dai moti di Reggio Calabria del 1970 fino ad oggi per rendersi conto della responsabilità delle classi dirigenti nell’aver consentito alla ’ndrangheta di assumere una propria soggettività politica ed economico-imprenditoriale.
Dalla mancata realizzazione del V centro siderurgico alla costruzione e alla gestione del Porto di Gioia Tauro, dal perenne completamento dell’autostrada Salerno-Reggio C. alla gestione di tutti i grandi finanziamenti europei -con la Calabria al primo posto per truffe e frodi all’Unione- tutte le grandi scelte strategiche che avrebbero dovuto cambiare il volto e la storia della regione, si sono trasformate nelle metafore delle grandi occasioni mancate. Gli attori di questo fallimento si ripropongono sempre uguali a se stessi: politica, imprese, ’ndrangheta.
E che dire della gestione della sanità, la principale voce di spesa del bilancio nella regione che segna il primato di Asl sciolte per inquinamento mafioso: occupazione politica degli ospedali e delle aziende sanitarie, controllo degli appalti e della spesa farmaceutica, fino al disprezzo del valore della vita e di quella umanità dolente mortificata e offesa, nel disprezzo del proprio diritto alla salute, sull’altare di un sistema di potere politico-affaristico- criminale.
Sistema di potere politico - affaristico - criminalema anche:
In Calabria, anche quando si parla di stato e di magistratura, si deve affrontare uno dei nodi storici che hanno garantito alla ’ndrangheta un sistema di tutele e di impunità: e cioè la doppiezza del potere politico, di settori degli apparati di sicurezza e dei servizi segreti, del mondo imprenditoriale, dello stesso potere giudiziario. Con sullo sfondo quelle centrali massoniche che in nessun’altra regione hanno mai assunto il peso che hanno avuto in Calabria nella costruzione di una doppiezza del potere e dei luoghi delle decisioni.
Il ponte morandi come suggello di un nuovo patto Istituzioni - Imprenditoria - criminalita' ?